Sappiamo che tutto quello che si trova attorno a noi ed è da noi percepibile è caratterizzato da una natura mutevole ed impermanente. Dalle forme di vita organica sino alle strutture galattiche più lontane e complesse, tutto è segnato da un processo di costante evoluzione. Su questa base non dovrebbe essere difficile tentare di immaginarsi, almeno per un momento, il nostro pianeta come un'entità vivente a tutti gli effetti, nata dal Sole e da quel momento dotata della possibilità di crescita dimensionale lungo un orbita che va lentamente (si parla di grandissime scale di tempo) ma progressivamente allontanandosi dal Sole in maniera spiraliforme. Anche quello che succede per gli altri pianeti e per i loro satelliti gode della medesima natura.
Nel 1976 un celebre geologo australiano, Samuel Warren Carey, reso famoso dai suoi studi sulla tettonica a placche, pubblicò un libro intitolato 'The expanding earth' nel quale presentava una sbalorditiva teoria sull'espansione tettonica terreste che, per strane ragioni, non riuscì a convincere del tutto la comunità scientifica mondiale come era invece successo nei suoi precedenti studi geologici degli anni '50, nei quali era stato individuato e spiegato il fenomeno della subduzione, per il quale nello scontro tra una placca continentale ed una oceanica quella con maggiore densità tende ad insinuarsi sotto la prima e ad affondare nel mantello.
Nonostante il modello classico della deriva delle placche litosferiche di Wegner noto come 'continental drift' e nato solo negli anni ’20 non avesse dalla sua parte la totalità degli studiosi vi furono notevoli difficoltà per il geologo australiano nel fare accettare la sua teoria che cominciava già all'epoca a riempirsi di verifiche e dati scientifico/matematici.
La motivazione probabile per cui ciò avvenne e tuttora persiste largamente è da rintracciare nell'idea di base di Warren Carey, ovvera quella secondo cui la terra non è assolutamente stata nelle antiche ere geologiche delle stesse dimensioni attuali. Osservando i profili dei vari continenti e la conformazione delle faglie e delle dorsali oceaniche, Warren Carey arrivò alla conclusione che l'attività orogenetica terrestre era sinonimo di crescita e di espansione tettonica.
Così l'antica Pangea (chiamata in diversi modi a seconda dell'epoca e degli autori che parlarono di lei) non sarebbe più l'antico super-continente isolato in mezzo all'oceano bensì la superficie di un'antica litosfera quando il nostro pianeta aveva dimensioni inferiori a quelle attuali, dovute alla formazione di nuova e più recente crosta terrestre.
Questa immagine, presa dal sito del ricercatore James Maxlow vi aiuterà a visualizzare quello che prevede questa teoria.
Già durante gli anni '60 una serie di misurazioni avvenute sui fondali dell'oceano Atlantico portarono alla scoperta della relativa differenza di età delle varie formazioni basaltiche che si susseguivano sui fondali a partire dalle più giovani situate in prossimità della dorsale medio-oceanica, sino alle più antiche (si parla di 140-180 milioni di anni fa), presenti in prossimità delle piattaforma continentali. Dal sito: Wikipedia.it abbiamo tratto la seguente immagine:
A seguito, supporto o come critica alla teoria di Carey sorsero successivamente altre ipotesi come ad esempio quella della terra pulsante, che hanno posto numerosi e nuovi interrogativi anche in altri campi scientifici, come è successo per gli studi paleontologici, nel momento in cui tenta di spiegare come mai i dinosauri avessero delle dimensioni maggiori rispetto a quelli attuali. Per esempio si stimava che lo Seismosaurus, un sauropode, potesse raggiungere un peso compreso tra le 80 e 100 tonnellate, dai 20 ai 25 metri di lunghezza e 10 - 15 metri in altezza (in piedi); oppure che gli pterosauri possedessero un’apertura alare di circa 10 - 13 metri.
Una ipotesi per spiegare questa discrepanza di peso e dimensioni tra animali estinti e attuali è stata formulata da Stephen Hurrel nel suo libro “Dinosaurs and the Expanding Earth”. L’autore si avvale proprio della teoria del geologo tasmaniano Samuel Warren Carey. Quando il nosrto pianeta possedeva una minore massa disponeva anche di una minor forza di gravità con la conseguenza che gli oggetti pesassero di meno. Secondo questa ipotesi, gli animali non solo erano più agili ma anche il loro accrescimento in massa e volume era superiore perché ostacolati da minori resistenze. Sono stati rinvenuti dei reperti fossili, risalenti a 160 milioni di anni fa, di libellule rimaste intrappolate nei sedimenti di bacini lacustri e in cui si vede che le dimensioni delle ali erano significativamente minori rispetto alle loro discendenti attuali; secondo alcuni studiosi questa anomalia si potrebbe spiegare anche ipotizzando che la forza di gravità della Terra all’epoca fosse decisamente inferiore all’attuale e così per questo genere di insetti non era necessario sviluppare delle grosse ali.
In definitiva, non essendo possibile verificare con piena certezza quest'ultima ipotesi così come avviene anche per la la teoria dell'espansione tettonica, sono ancora oggi molti gli studiosi scettici a riguardo ma, come abbiamo appreso dalla storia della scienza, la maggior parte delle teorie capaci di cambiare notevolmente la nostra visione del mondo hanno bisogno di lunghi periodi di attesa, nei quali altri studiosi possono cimentarsi in ricerche o verifiche empiriche e strumentali.
Per chi volesse ulteriori informazioni su questo argomento consigliamo la consultazione dei seguenti siti:
- The expanding Earth
- Expandign-Earth.org
Nel 1989 su un inserto del quotidiano 'la Repubblica' comparve un articolo di Franco Prattico intitolato 'Aiuto, la terra si gonfia', nel quale veniva riportato quanto segue:
«[…] il colpo definitivo alla solida immagine della nostra vecchia casa planetaria viene oggi dall’Australia: protagonista una singolare e geniale figura di scienziato, Samuel Warren Carey, anziano e battagliero geofisico dell’Università di Tasmania […]. “La Terra non è stata sempre la stessa — afferma —. Quando è nata dalla nebulosa primitiva, era molto più piccola di adesso, probabilmente era la metà. Da allora è cresciuta, come un pallone gonfiato col fiato da un ragazzino: e continua a crescere sempre più, ancora oggi”. […] All’Istituto nazionale di Geofisica di Roma un giovane scienziato italiano, Giancarlo Scalera, dispone su una grande mappa del pianeta una serie di pezzi di carta ritagliati […]. “Vede — spiega Scalera — […] eliminando le immense distese oceaniche, potremmo formare con le terre emerse un globo perfetto, ma molto più piccolo”. […] Scrive F.C. Wezel: “Nella visione di Carey […] il destino ultimo della Terra potrebbe essere una smisurata crescita esponenziale. Oppure un’esplosione simile a quella di Aster, con la formazione di una miriade di asteroidi”. […] Ammette Scalera: “Bisogna riconoscere che sotto molti aspetti quella di Carey è l’unica spiegazione possibile per una serie di fenomeni che la teoria ortodossa non riesce a interpretare”». (da La Repubblica, inserto «Mercurio», 18/3/1989, p. 7)
Fonte: climatrix
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