03 aprile, 2012

Italia: I passi che hanno portato alla dittatura


Gli emissari dei nuovi detentori del potere sovrano, Mario Monti (Goldman Sachs), Elsa Fornero (Banca Intesa), Corrado Passera (Banca Intesa), sono persone molto ricche, addestrate a dovere e foraggiate nel corso della loro carriera a forza di parcelle milionarie, a cui è stato chiesto solo un piccolo gesto di riconoscenza per mettere in pratica rapidamente ciò che i politici di professione stavano attuando con troppa lentezza.

Il parlamento stesso ormai è un’istituzione inutile, ridondante, poco efficiente perchè di fatto non ha più alcun potere decisionale e può solo vidimare a valle ciò che è stato stabilito a monte dai nuovi reggenti. Il parlamento verrà sfoltito (cosa giusta e sacrosanta, ma se la finalità è quella di delegittimare un fondamentale organo costituzionale del paese allora è sbagliata), i dipendenti pubblici dovranno adeguarsi alla mobilità e ai licenziamenti (come sta già accadendo in Grecia) e i funzionari pubblici avranno soltanto il compito di mettere timbri sulle concessioni da assegnare ai nuovi proprietari privati del patrimonio pubblico. Tutto qui, lo stato sarà solo un piazzista di beni pubblici e un semplice intermediario fra la manovalanza e i padroni. Dimenticativi quindi termini aulici come giustizia, uguaglianza, libertà, diritto costituzionale perché tutto ciò che è giusto ed equo lo decide soltanto il mercato in base a semplici calcoli di utilità e profitto.

Per avere un’idea di quali sono state le tappe più importanti e i nomi che hanno contribuito alla realizzazione del progetto di espropriazione della democrazia, teniamo sempre a mente queste date e questi eventi:

1. 1979: l’Italia decide di entrare nello SME (Sistema Monetario Europeo) dove la lira non può più svalutarsi liberamente secondo le leggi del mercato e i flussi commerciali con l’estero, ma è costretta ad essere agganciata in una rigida banda di oscillazione (±6%) chiamata “serpente monetario” ad altre dieci monete europee. In questo modo la politica monetaria italiana viene condizionata e limitata dall’obbligo di mantenere la lira all’interno di questo stretto corridoio (Giulio Andreotti, presidente del consiglio, poi sostituito da Francesco Cossiga, Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia, travolto da un’inchiesta giudiziaria e costretto a dimettersi per lasciare la carica a Carlo Azeglio Ciampi)

2. 1981: viene sancito il cosiddetto “divorzio” fra Banca d’Italia e il Ministero del Tesoro, perché la banca centrale non può più acquistare titoli di stato nelle aste primarie di collocamento come acquirente residuale per mantenere basso il rendimento dei titoli. Da quel momento l’Italia perde parte della sua sovranità monetaria, dato che mantiene ancora un conto di deposito presso la banca centrale con facoltà di scoperto ma può vendere i suoi titoli di stato soltanto alle banche commerciali. A causa dell’aumento incontrollato del rendimento e dell’interesse dei titoli, il debito pubblico comincia la sua cavalcata inarrestabile (Beniamino Andreatta, ministro delle finanze, Carlo Azeglio Ciampi, governatore di Banca d’Italia)

3. 1990: Carlo Azeglio Ciampi decide di restringere la banda di oscillazione della lira rispetto alle altre monete europee dentro un corridoio più stretto del ±2,25%, iniziando una politica monetaria di contrazione della liquidità che favorì un ulteriore innalzamento dell’interesse sui titoli e del debito pubblico. Questa estrema rigidità di cambio della lira impedisce quei necessari e spontanei processi di aggiustamento e svalutazione della moneta nazionale che favoriscono la produttività e le esportazioni senza intaccare i salari dei lavoratori e i profitti delle imprese

4. 1992: l’Italia aderisce al Trattato di Maastricht e la Banca d’Italia è costretta l’anno successivo a congelare il conto di deposito detenuto dallo stato, senza potere più concedere anticipazioni o scoperti di conto allo stato. Fine della sovranità monetaria. Lo spazio di manovra politica e democratica dello stato viene di fatto azzerato, perché uno stato che non può più spendere i suoi soldi per il benessere dei cittadini non ha più senso di esistere, il contratto sociale che prima rendeva a tutti conveniente l’aggregazione sotto un’unica nazione e l’osservanza di una costituzione non ha più alcun valore. La convivenza civile si baserà adesso su altre regole basate sulla libera concorrenza, la competitività, l’efficienza muscolare, la ricerca del profitto ad ogni costo, la subordinazione e ogni cittadino è solo, senza più diritti e tutele, a confrontarsi in questo immenso mercato degli schiavi

Nel grafico sotto, tratto dal giornale on-line Linkiesta, possiamo vedere che ad ogni tappa del processo di espropriazione e spoliazione della democrazia sia corrisposto un relativo incremento del debito pubblico italiano, che al contrario di quello che si crede non è dovuto tanto ad un eccesso di spesa pubblica ma a un aumento incontrollato degli interessi sul debito e a un sempre maggiore indebitamento con l’estero causato principalmente dalla rigidità del tasso di cambio della valuta nazionale.





Come ho spesso già detto in questo blog, non c’è nessun complotto dietro il progetto anti-democratico in corso perché è tutto scritto a chiare lettere nelle nuove carte del potere (vedi Trattati di Funzionamento dell’Unione Europea) e solo le volontarie omissioni e reticenze di una certa classe politica dirigente e dei mezzi di informazione schierati con questo regime, hanno impedito ai cittadini di conoscere e capire cosa stava accadendo intorno a loro e come la nuova oligarchia stava eliminando ad uno ad uno gran parte dei loro precedenti diritti, primo fra tutti quello di appartenere ad uno stato democratico.

Molti penseranno che i politici verranno pure penalizzati prima o dopo in questo processo di esautorazione del loro potere, ma dimenticano invece i grandi vantaggi acquisiti dalla classe politica: saranno sempre di meno a spartirsi quel che rimane della torta e soprattutto non dovranno più impegnarsi nel duro e gravoso lavoro di governo di uno stato, perché tutto si reggerà da solo secondo le leggi del mercato e i politici dovranno soltanto avallare dietro lauti compensi gli ordini ricevuti da uno o dall’altro grande gruppo o settore industriale, secondo le consuete procedure di ingaggio delle consorterie, delle corporazioni, delle lobby.

Inoltre non bisogna neppure trascurare la circostanza che i politici e le classi dominanti potranno avere a disposizione una moneta forte come l’euro (che come sappiamo non ha più alcun legame con il territorio e il tessuto produttivo italiano, ma è una moneta straniera agganciata alla pari al marco tedesco), con la quale potranno fare acquisti liberi e sfrenati in tutto il mondo: ville in Florida, appartamenti a New York, rette universitarie per i figli ad Harvard e Yale. Se i politici venissero costretti da un’improbabile sommossa popolare ad abbandonare l’euro e a tornare alla lira, si ritroverebbero in mano, almeno per i primi anni, una moneta debole svalutata con la quale non potrebbero più permettersi molti vizi in giro per il mondo.

La ritrovata sovranità monetaria costringerebbe poi i politici a lavorare sul serio per rilanciare l’economia italiana e dare valore alla nuova moneta nazionale, tramite un costante apprezzamento sui mercati e un rilancio delle esportazioni: l’euro invece è per loro una moneta già pronta, si paga da sola, la forza la mettono i tedeschi, e i sacrifici e i costi per bilanciare questa forza assolutamente squilibrata rispetto alle potenzialità produttive italiane vengono pagati soltanto dai cittadini e dai lavoratori. Comodo no? Noi paghiamo le tasse, le privazioni, le umiliazioni, le assurde condizioni contrattuali e retributive per tenere in piedi questa mostruosità chiamata euro, mentre i nostri politici spendono e spandono in ogni dove con la loro bella moneta forte.

Pur essendo ampiamente complici, a volte però i politici rimangono spiazzati di fronte all’autorità di questo nuovo potere reggente e non capiscono di essere soltanto delle marionette, azionate da una macchina che è molto più grande di loro (qualcuno ricorda l’espressione smarrita di Berlusconi quando fu gentilmente cacciato via dal governo? Eppure lui credeva di essere uno tosto, uno potente). Sono molto interessanti a tal proposito le dichiarazioni di alcuni funzionari pubblici che dopo essere stati spodestati dalle loro cariche hanno cominciato a svelare certi retroscena del processo di espropriazione della democrazia (vedi per esempio il video sotto in cui Nino Galloni, funzionario del ministero delle finanze negli anni 80-90, spiega come Ciampi teneva sotto scacco i politici, in questo caso il segretario del partito comunista Enrico Berlinguer, per costringerli alla rinuncia della sovranità monetaria, oppure con quale prepotenza il cancelliere tedesco Kohl faceva pressioni su Andreotti per accelerare il processo di unificazione europea).

Oppure, basta leggere con attenzione il libro “La politica nel cuore” scritto da Paolo Cirino Pomicino, sotto lo pseudonimo di Geronimo, in cui il deputato ed ex-ministro democristiano rivela rammaricato come la politica abbia ormai ceduto il passo ad una nuova forza di potere costituta da un intreccio inestricabile di finanza-affari-informazione, che come dice lui stesso rappresenta “il nuovo grande potere che tenta di governare il paese senza averne la legittimità democratica". Questi politici che hanno attraversato il periodo d’oro della Prima e della Seconda Repubblica non possono considerarsi immuni da complicità e sono tutti colpevoli di non avere denunciato i fatti per tempo, tuttavia le loro testimonianze risultano molto utili per capire quale è stata la reale evoluzione dei fatti.

Riporto sotto un estratto del libro in cui Pomicino rivela le circostanze sciagurate che portarono l’allora governatore della Banca d’Italia Ciampi (sempre lui, il simpatico e rispettabile nonetto dipinto dalla stampa italiana, che invece è stato senza dubbio l’anima nera, l’uomo ombra chiave del grande Colpo di Stato Bianco alla democrazia) alla decisione di far rientrare la lira nella banda stretta di oscillazione di cambio:

“Pochi ricordano pero’ che a quell’epoca il debito pubblico era tutto interno. Quando si diceva che ogni italiano nasceva con venti milioni di lire di debito ci si dimenticava di aggiungere che aveva diciannove milioni di credito perchè’ i titoli di stato erano per il oltre il 90% nelle mani delle famiglie italiane. Insomma era il debito che non cedeva alcuna sovranita’ alla finanza internazionale e che avrebbe richiesto almeno dieci anni per ricondurlo entro limiti accettabili. Purtroppo nel 1990 una scelta scellerata di Carlo Azeglio Ciampi colloco’ la lira nella banda stretta di oscillazione del sistema monetario europeo. Quella decisione impose una politica monetaria di alti tassi d’interesse che scarico’ sul bilancio dello stato 20mila miliardi annui di maggior spesa, aumentando cosi’ il debito pubblico vertiginosamente e portando dritto alla svalutazione del settembre 1992 e alla fine del sistema monetario europeo. Era la tesi del vincolo esterno che avrebbe dovuto spingere il governo e parlamento a comportamenti piu’ virtuosi. In realta’ era solo l’alibi per mettere in ginocchio il paese e prepararlo alla stagione di tangentopoli”.

Ma, nonostante tutto, la frase che sentirete dire più spesso in questi giorni dai nuovi emissari del potere è “indietro non si torna”. Come avrete già notato, questo messaggio laconico e perentorio viene ossessivamente ripetuto da Monti, dalla Fornero, da Passera ogni volta che viene messo sul piatto della non trattativa un altro nuovo decreto coatto di espropriazione della democrazia e riduzione in schiavitù del popolo italiano (salva Italia, liberalizzazioni, riforma del lavoro, No TAV). Tuttavia questo autoritario avvertimento, quasi una minaccia, è soltanto una calcolata dimostrazione di forza che nasconde in realtà la più grande paura del nuovo potere: indietro si può tornare in qualsiasi momento, perché la storia non è un processo lineare ma spesso procede per cicli, emicicli e percorsi circolari. Non è scritto da nessuna parte che la storia debba continuare secondo le direttive imposte da loro, perchè il popolo, gli uomini, la storia stessa sono stati spesso capaci di cambiare più volte il corso degli eventi con la forza e con una buona dose di volontà e autodeterminazione.

Immaginate il re francese Luigi XVI che il 14 luglio del 1789 davanti al popolo inferocito che aveva iniziato la rivoluzione democratica con la presa della Bastiglia, si fosse affacciato dai balconi della reggia di Versailles per dire al popolo: “Indietro non si torna!”; nel vano tentativo di convincere i rivoltosi che la monarchia fosse la migliore forma di governo. Oppure sempre il buon vecchio Luigi XVI che inginocchiato davanti alla ghigliottina il 21 gennaio del 1793, rivolto al boia, avesse ancora sussurrato con un filo di voce: “Indietro non si torna…”. E invece si è tornato indietro, avanti, di lato a destra, di lato a sinistra, in alto, in basso, perché la storia ha questo tipo di evoluzione non razionalmente prevedibile e segue di pari passo quelle che sono la volontà, la determinazione, l’intelligenza, le energie e le forze messe in campo. E la gente, il popolo, i nostri antenati non avevano scelto a caso la democrazia come forma di governo, dato che è senza dubbio la modalità di convivenza in assoluto più civile, giusta, equa, solidale; quella stessa democrazia che oggi i nuovi adoratori della monarchia stanno cercando con l’inganno di defraudare ai loro discendenti.

Quindi i mandanti Monti, Fornero e compagnia bella che non senza riluttanza hanno dovuto assumersi il compito sgradevole di recidere gli ultimi legacci della democrazia italiana possono andare avanti quanto vogliono, ma devono aver ben chiaro che indietro si può tornare in qualsiasi momento. E’ difficile per carità, ma non impossibile. I cittadini, il popolo, i nuovi schiavi devono imparare soltanto a cambiare l’obiettivo delle loro rivendicazioni: non più solo lavoro, lavoro, lavoro, ma democrazia, democrazia, democrazia. Perché senza democrazia il lavoro non ha più senso, è pura sussistenza, mentre lavorare in una nazione democratica significa partecipare, equiparare i diritti, redistribuire le risorse e aprire la strada a quelli che verranno. Dalla democrazia discende il lavoro come naturale conseguenza, mentre dal lavoro fine a se stesso può derivare soltanto qualche nuova forma di schiavitù. E per riprendersi la democrazia rubata, la gente deve innanzitutto riprendersi la prima cosa che la nuova oligarchia europea ha scelto 10 anni fa di togliere al popolo: la moneta.

Non è un caso che i tecnocrati europei abbiano cominciato il loro percorso proprio imponendo una nuova moneta privata agli stati, perché solo in virtù di una piena sovranità monetaria e della proprietà pubblica della banca centrale uno stato può dirsi veramente democratico, mentre in mancanza non si va da nessuna parte e si apre inesorabilmente la strada a qualche nuova forma di dittatura. Gli oligarchi del nuovo ancient regime franco-prussiano avevano molto chiaro in mente quale fosse il loro primo obiettivo: prima ancora di scrivere gli articoli dei trattati europei, avevano già deciso che la moneta doveva essere privatizzata. Anzi quei trattati, dove sono stati descritti confusamente i principi di un’unificazione impossibile, sono stati inventati di sana pianta, con l’unico scopo di togliere le rispettive monete nazionali agli stati, perchè privato della sua moneta lo stato viene messo al muro, è inerme, è privo di qualsiasi capacità di reazione e può essere spogliato lentamente senza lasciare alcuna traccia.

Ma per capire ancora meglio quale legame stretto esista fra la democrazia e la sovranità monetaria, riporto di seguito per intero un articolo dell’economista Sergio Cesaratto, pubblicato qualche mese addietro sul sito Economia&Politica. Il professore Cesaratto è ordinario di economia politica pressò l’Università di Siena.

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